sabato 27 novembre 2010

L’arte di fare alle braccia, la lotta.


L’arte di fare alle braccia, la lotta.
La lotta, per definizione, è un confronto tra uomini disarmati.
E’ una forma d’interazione che accompagna l’uomo sin dai suoi primi passi.
Le origini della lotta fanno capo ad un’epoca in largo anticipo rispetto a quella della scrittura; vanno individuate nei confronti spesso brutali, attuati nei primi nuclei sociali, il cui scopo non era ludico o sportivo, ma di predominio e conquista

Le prime testimonianze visive della radicata presenza della lotta nel cammino evolutivo della nostra specie sono arcaiche, e sono attribuibili agli egizi, in quell’era in cui prendevano forma le prime piramidi.
Cenni antichissimi mostrano figure stilizzate cercare un contatto, tramite una gestualità che risale ai primordi.
Prescindendo dalle evoluzioni indigene sviluppate nei vari angoli del pianeta, la lotta si avvale di movimenti e tecniche universali, plasmate sull’anatomia e sulle forme dell’corpo umano.
E’ per questo che sulle tavole di argilla scolpite al di là del Mar Rosso prendono forma posizioni di combattimento largamente condivise ed attualissime.
Ogni forma animale trova nella lotta uno strumento di sopravvivenza.
L’educazione della prole, negli animali allo stato brado, prevede il confronto dei cuccioli attraverso lo scontro fisico. Quest’ultimo consente, tramite giochi incruenti, di formare il piccolo della singola specie al ruolo che dovrà rivestire, in età adulta, nella catena alimentare e nelle dinamiche sociali individuali o di gruppo.
Chi dovrà scappare impara a correre e a scalciare.
Chi dovrà inseguire impara a gestire lo scatto ed il morso.
Nell’uomo, il gene della competizione, l’inclinazione all’individualismo e le difficoltà di interazione in assenza di convenzioni sociali ben definite, hanno comportato l’insorgere del combattimento tra singoli e delle guerre fra molti.
Col passare del tempo, ogni società a modo proprio, ha codificato un insieme di regole, in modo da limitare la lotta ad un confronto sportivo in un contesto agonistico.
Personalmente ritengo la lotta un’attività sportiva unica. E ’un momento creativo, una disciplina estremamente formativa.
L’assenza dei colpi permette al lottatore di sopportare regimi di allenamento estremamente intensi senza essere soggetto ad effetti collaterali intollerabili.
La lotta, nel tempo, permette di sviluppare una grande confidenza col proprio corpo.
La conoscenza dei propri limiti, del proprio equilibrio, della coordinazione.
Insegna ad sfruttare la propria forza ed a convivere con le proprie, numerose, debolezze.
Ogni lottatore ha uno stile, sviluppato secondo la fisicità individuale e le proprie caratteristiche strutturali.
La lotta permette un ritorno alle origini.
I primi mesi di vita, nell’uomo, sono trascorsi per terra, a contatto col suolo.
Un bambino che gattona sa muoversi per terra meglio di un adulto che, oramai, ha perso col proprio terreno originario ogni forma confidenziale.
Il tappeto(tatami) è il regno di ogni lottatore, che deve imparare, con pratica e sacrifici, a trarne forza, la pressione da esercitare sull’avversario.
La lotta sottopone i praticanti a grandi stress fisici ed emotivi.
Strangolamenti, leve articolari, pressioni dolorose, proiezioni.
L’accettazione della sofferenza fisica e la consapevolezza della resa, fortificano il lottatore, lo temprano e lo rendono diverso.
Il lottatore esperto è generalmente una persona misurata, dall'indole serafica, ponderata ed equilibrata.
Chi vive profondamente la filosofia della lotta ama il confronto con gli altri, la crescita, l’abbattimento dei propri preconcetti.
L'apprendimento della tecnica permette il confronto anche con avversari di peso e mole superiori e l'allenamentoporta ad una più consapevole gestione delle proprie facoltà: il fiato, la forza, le energie…
Nel tempo, s' imparare a dosare la propria preponderanza con un compagno più debole, e a centesimare gli sforzi con uno sparring partner più forte, così da approfittare di un’eventuale concessione in una particolare fase del combattimento.
Come detto, la lotta impegna molto chi vi si dedica.
Nel corso degli anni, il corpo, la postura, la gestualità del lottatore si plasmano sulla disciplina.
Cambiano alcuni tratti anatomici.
Spesso a farne le spese sono le dita delle mani e dei piedi, il collo, i padiglioni auricolari.
Gli attriti, le prese, gli strattoni, obbligano il lottatore a temprarsi ed inspessirsi.
Anche allenamenti amatoriali comportano un piccolo peso da portare nel quotidiano; un generale, diffuso e costante senso di “ammaccamento”, un intorpidimento delle articolazioni, un lieve affaticamento muscolare..tanti piccoli segnali che, in un qualsiasi momento del quotidiano, ci riportano al pensiero della disciplina a cui ci si dedica.
L’impegno, la dedizione, il sacrificio, sono valori basilari per un atleta.
Sono valori la cui importanza è condivisa e rispettata tra i compagni d’allenamento, che in virtù del proprio operato stringono, vicendevolmente e con sensei, il maestro, legami molto profondi e vincolanti, la cui origine è nella condivisione di momenti particolari, che non trovano larga diffusione nella cultura sportiva generale.
Il rispetto reciproco e la solidarietà sono, e devono essere, stimolo all’allenamento e obiettivo nella crescita individuale e collettiva dei frequentatori del dojo.
Le tecniche, i dettagli, le minuzie che fanno la differenza, si trasmettono dai più ai meno esperti, in un fenomeno continuo di crescita ed arricchimento bilaterale.
Chi ignora apprende.
Chi già conosce rispolvera, ripete ed approfondisce.

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