Sono molti anni che ho smesso di scrivere e di pubblicare le cose che penso. Non essendo servito mai a niente se non a riempire ulteriormente spazi troppo spesso già riempiti da parole dette da chi dovrebbe ascoltare invece di parlare. Ho avuto la presunzione di fare mio il detto Taoista :” chi sa non parla, chi parla non sa.”
Ho iniziato a praticare il Karate a 13 anni ho continuato attraverso varie esperienze fino a quando ho incontrato il jiu jitsu brasiliano a 35 anni, ora sono 14 anni che lo pratico ho conosciuto persone che hanno lasciato un segno profondo nelle arti marziali in Campania ed in Italia prima tra tutte il mio “maestro radice” Beppe Panada. Da tutte ho imparato qualcosa indipendentemente dall’arte marziale praticata.
Quando ho conosciuto Alan Shebaro cintura nera di bjj sotto Carlos Machado, di cui sono diventato in seguito buon amico, mi colpì il notare un grande tatuaggio che aveva sull’addome, una sola parola “RESPECT” a caratteri grandi, forse troppo grandi per me in quel momento non capì, o meglio mi sembrò forse eccessivo lo spazio dato a quella parola.
Ma negli ultimi mesi è come se una nebbia si stesse dissolvendo e lasci chiaramente trasparire cose che nel tempo, in questi anni in cui tutto e sempre più pesato sull’avere che sull’essere, avevo forse dimenticato o messo da parte.
Quando persone che dovevano ancora nascere, mentre altre già calcavano il tatami da veterane, si permettono di sindacare e dare opinioni sull’opportunità o meno di passare di cintura veterani verso cui dovrebbero avere solo attenzione e umiltà, mi rendo conto che il rispetto è andato perso.
Quando persone che dovrebbero solo avere riconoscenza e gratitudine per il maestro a cui tutto devono, che ha trasmesso loro la passione la gioia e la bellezza dell’imparare il jiu jitsu, approfittano delle sue vulnerabilità per ricattarlo, mi rendo conto che il rispetto è andato perso.
Quando persone che oggi colgono i frutti dell’attività pionieristica di molti di noi, avendo immediato accesso a tecniche e conoscenze che noi abbiamo acquisito attraverso una fatica dieci volte superiore, in tempi in cui tutto era sconosciuto e custodito gelosamente, si fanno maestre e giudici dopo pochi anni di pratica, mi rendo conto che il rispetto è andato perso.
Ecco il jiu jitsu del mercato globale, ecco il jiu jitsu dove tutto è in vendita, ecco il jiu jitsu dove il rispetto non esiste, dove l’onore suscita ilarità, la riconoscenza è giudicata stupidità,
ecco il jiu jitsu che non è il mio jiu jitsu!
In tutti questi anni ho visto giovani rampanti non rispettare chi meritava rispetto; ho visto giovani rampanti invecchiare e rendersi conto dell’importanza del rispetto, solo quando ad essi veniva negato il rispetto dovuto, dalla “prima donna” di turno. Ho visto la ruota girare, e ho visto come questo modo di vivere il jiu jitsu sia caudico e privo di anima.
L’anima del jiu jitsu di ogni arte marziale e di ogni sport da combattimento è il rispetto. Dal rispetto nasce la riconoscenza e il coraggio di vivere scegliendo ciò che è giusto e non solo ciò che ci conviene, ciò che ci rende migliori e non semplicemente più ricchi, che ci rende combattenti onorevoli e non mercenari al soldo del miglior offerente.
Ma so che tutto questo suona vecchio circondati come siamo dalla necessità di successo di rivalsa di guadagni sempre più facili.
So che il tempo in cui molti di noi si sono avvicinati alle arti marziali alla ricerca non solo della tecnica e della forza, ma soprattutto di una pratica di vita che gli insegnasse ad essere presenti e a crescere attraverso il miglioramento continuo di se stessi come esseri umani è finito.
Ormai l’avere ha vinto, si può avere una ottima tecnica ed essere una pessima persona non importa va bene così, si può essere estremamente egoisti e scorretti ma vincere qualche gara e va bene così, il mercato risponde le persone ti chiamano lo stesso per gli stage e i seminari e il proprio progetto lavorativo cresce…
ma se ci penso forse è sempre stato così, le cose restano le stesse a cambiare sono solo i figuranti….
Se non fosse per il latente senso di disgusto e di nausea avrei potuto continuare a stare zitto, a non scrivere come ho fatto in questi ultimi anni, ma quello che ha fatto forse veramente traboccare il vaso del mio silenzio è stata la triste consapevolezza che si può vivere anche senza provare vergogna.
Marco Galzenati
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